Dott. Carlo Privitera: prescrivere cannabis terapeutica in Italia
Prescrivere cannabis terapeutica ai pazienti di tutta Italia. Nel progetto Medicomm il Dottor Carlo Privitera collabora con una squadra di cinque medici e tre psicologi e, grazie alla tele-assistenza, segue i propri pazienti con terapia a base di cannabinoidi.
Il progetto Medicomm nasce nel 2016. In questi anni, a quanti pazienti avete scelto di prescrivere cannabis terapeutica?
Siamo a seimila pazienti sparsi per l’Italia. Per la comunicazione, per condividere i casi e per il trattamento multidisciplinare utilizziamo la nostra piattaforma.
Dal punto di vista della ricerca sui fitocannabinoidi quali sono i risultati più interessanti quando si tratta di prescrivere cannabis?
In generale tutte le patologie rispondono bene al trattamento con fitocannabinoidi. In sei casi su dieci, riusciamo ad ottenere risultati clinici significativi già dal primo ciclo di terapia. Altri tre casi su dieci necessitano di una o più modulazioni terapeutiche (da due a sei) e, uno su dieci, nel caso di un primo approccio infruttuoso, decide di non proseguire. Stiamo ottenendo ottimi risultati nel trattamento delle forme di epilessia farmacoresistente e delle malattie neurodegenerative, per le quali i familiari dei pazienti ci restituiscono ottimi feedback circa la gestione della quotidianità all’interno di una nuova “normalità”.
Cosa intende per nuova “normalità”?
Quando trattiamo pazienti pediatrici o anziani con varie forme di deterioramento cognitivo, è il familiare a mettersi in contatto con noi ed è con lui che strutturiamo le strategie terapeutiche e monitoriamo quotidianamente l’andamento della terapia, al fine di poter accelerare quanto più possibile il percorso di personalizzazione della terapia e stabilizzazione del quadro clinico. Le proprietà farmacologiche della cannabis medica permettono di innescare un circolo virtuoso che tende a migliorare anche la compliance ovvero la predisposizione stessa del paziente.
Che ruolo svolge il sistema endocannabinoide nell’interazione con la prescrizione di cannabis da parte di uno specialista?
Il sistema endocannabinoide è deputato alla gestione dello “stress” che si traduce sempre in un’attivazione del sistema immunitario, inteso come ogni causa fisica, chimica o psichica capace di esercitare una reazione di adattamento da parte dell’organismo. Il vero obiettivo clinico si raggiunge quando si riescono ad identificare ed eliminare o quantomeno modificare le cause di stress sull’individuo. Questo permette alla terapia cannabica di poter compiere il proprio lavoro, ovvero quello di reintegro di fattori che il nostro corpo fatica a produrre: gli endocannabinoidi.
Nel nostro paese mancano gli studi clinici riguardanti l’applicazione medica della cannabis. Sotto questo profilo che ruolo svolge il database di Medicomm nella vostra attività quotidiana? Come lo sfruttate per seguire i nuovi pazienti?
Il problema della mancanza di studi risiede principalmente nell’impossibilità di studiare gli effetti di un farmaco complesso come la cannabis, che contiene più di 700 molecole biologicamente attive per ogni varietà di fitocomplesso, continuando ad utilizzare le attuali logiche e tecniche della Medicina Basata sull’Evidenza (EBM), senza riprendere in maniera sistematica tutto ciò che concerne la fase di acquisizione dei dati che non può avvenire in maniera sporadica o “volutamente randomizzata” (i bias metodologici iniziano proprio qui).
La gestione dei dati sui pazienti, per una terapia che per essere efficace deve essere altamente personalizzata, diventa quindi nevralgica?
A fronte di un’immensa mole di lavori scientifici preclinici, biomolecolari e cellulari, non abbiamo ancora capito che si devono instaurare nuove dinamiche operative e una nuova logica sanitaria per affrontare tale tematica dal punto di vista scientifico. L’esperienza che deve essere posta come base per la ricerca scientifica e non il contrario, ricordando che abbiamo un farmaco assolutamente sicuro (non esiste DL50, ovvero la dose letale) e maneggevole. Non occorrono riduzioni di dosaggio in caso di interruzione di terapia, così come si possono modificare le posologie sempre in base alle necessità del paziente.
Pensando ai dati sui pazienti, quindi, come valorizzare la ricerca sui fitocannabinoidi nella pratica quotidiana?
La ricerca deve ripartire dall’osservazione clinica empirica per restituire ai ricercatori preclinici (quelli chiusi nei laboratori, per intenderci) i risultati di questa osservazione, personalizzata sul singolo paziente, al fine di permettere di trarre “regole generali” da applicare su larga scala perché, sui grandi numeri, la probabilità di trovare quadri biologici simili aumenta. Pertanto, la ricerca deve mirare a trovare gli elementi “standard” che consentano la costante personalizzazione della terapia. Noi, utilizziamo un metodo di approccio standardizzato, la terapia è sempre personalizzata, ma ci muoviamo all’interno di schemi che abbiamo costruito in questi anni di pratica clinica quotidiana, e questo ci permette di uniformare la qualità dell’intervento di ogni singolo operatore e di ottimizzare l’offerta al paziente. In particolare, abbiamo strutturato degli algoritmi di impostazione terapeutica che ci consentono di gestire, come team, il percorso terapeutico personalizzato di ogni paziente.
Potrebbe spiegarci in che maniera lavora questo algoritmo?
Quattro anni fa una collega mi chiese di darle delle linee guida per utilizzare la cannabis in ambito clinico. Immediatamente pensai fosse impossibile. Arrivati al paziente numero 2000 ho fatto una prima revisione dei protocolli terapeutici prescritti e delle varie modifiche della gestione quotidiana nel tempo. Ho effettuato una seconda revisione al paziente numero 4000. Questo mi ha permesso di identificare i fattori che determinano la scelta dell’impostazione terapeutica e realizzare degli schemi di approccio entro cui potersi muovere “liberamente” in relazione alle condizioni cliniche del paziente. Da quel momento ho sottoposto ai miei collaboratori tali schemi e raccolto i loro feedback (su altri 2000 pazienti) e, così facendo, abbiamo costruito dei cardini logici d’impostazione clinica che ci permettono di accelerare il percorso di personalizzazione della terapia. E’ un po’ come il jazz: ci sono degli standard su cui poter “improvvisare” di volta in volta.
Nel corso degli anni ha mai trovato a prescrivere cannabis terapeutica prodotta in Italia?
Parlando delle genetiche italiane, abbiamo avuto modo di utilizzare soprattutto la varietà FM2 che, sebbene bruttina a vedersi, ha trovato indicazione, come estratto, specialmente in pazienti con cefalea e sindromi dolorose e sempre in associazione ad altri tipi di cannabinoidi. Minore è l’esperienza con la varietà FM1 perché ne è circolata davvero poca. I pochi pazienti che l’hanno provata hanno trovato giovamento dal dolore, riferendo scarsi effetti psicotropi, meno del Bedrocan®. La mia opinione su ogni tipologia di cannabis di grado medico è e sarà sempre positiva, dal momento che comunque non può far male a nessuno e a qualcuno magari fa anche bene.
E per quanto riguarda le genetiche canadesi?
Anche in questo caso possiamo parlare della sola varietà ad alto THC (17-26%), in quanto le altre due che erano state richieste nel bando sono state disponibili per pochissimo tempo e non sono poi state acquistate dal Ministero. Alcuni piccoli pazienti epilettici hanno potuto beneficiare per un mesetto di estratti realizzati dalla varietà ad alto CBD (di tipo “indica”, per cui particolarmente utile); ma all’Ufficio Centrale Stupefacenti, evidentemente, non andava bene.
In che senso non andava bene all’Ufficio Centrale Stupefacenti?
Il bando di fornitura da parte di Aurora (Canada) del 2018 prevedeva, tra le altre, 40 chili d’infiorescenze ad alto contenuto in CBD. Per non si sa quale motivo, tale parte dell’ordine è stata successivamente annullata, lasciando scoperti quei pazienti che l’avevano già provata con risultati positivi.
Perché i pazienti devono ancora confrontarsi quotidianamente con scandalose e strutturali mancanze di rifornimento in cannabis terapeutica?
Rispondere a questa domanda implica dover accusare la politica di essere impreparata, ignorante, demagogica e populista. Si stima che in Italia ci siano circa 4 milioni di consumatori abituali contro i 23 milioni di potenziali pazienti. Se i nostri politici impiegassero 1/10 del tempo che passano a fare “selfie strumentalizza-malati” ad interfacciarsi con i Dirigenti ministeriali per far sì che la norma venga applicata, allora risolveremmo in circa trenta minuti i problemi inerenti alla produzione a scopo di ricerca, con coinvolgimento diretto delle Associazioni dei pazienti sia in fase produttiva che clinica, alla produzione farmaceutica industriale. La norma esiste, ma lascia al libero arbitrio insindacabile dell’Ufficio Centrale Stupefacenti la concessione dell’autorizzazione alla coltivazione, all’approvvigionamento del farmaco per l’attuale mercato e strutturazione di programmi di crescita della produzione su scala nazionale, al mercato del lavoro (si creerebbero posti di lavoro ad alta specializzazione e relativi corsi di formazione). In pratica un indotto stimato intorno ai 30 miliardi/anno.
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