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Dolore neuropaticoTestimonianze

Laura Di Chio: combattere il dolore con la cannabis

dolore cannabisDopo aver esperimentato svariati farmaci tradizionali senza beneficio alcuno, Laura comincia a combattere il dolore con la cannabis.

La vita prima della diagnosi

Mi chiamo Laura di Chio. Sono una donna padovana di 66 anni, laureata in scienze biologiche, sposata.

Questa storia di cannabis nella cura del dolore inizia alla fine del mese di settembre, nel 2002.

Dopo molta indecisione, e soprattutto spinta da vari amici che già lo praticavano, iniziai a frequentare un corso di yoga. Già dalle prime lezioni rientravo a casa senza la sensazione di benessere che mi aspettavo.

Contemporaneamente, tutte le volte che salivo in moto con mio marito cominciavo a sentire una sensazione di calore alla gamba destra che, appena scendevo, passava in pochi istanti. Inizialmente ho pensato fosse dovuta a una marmitta della moto che scaldava più dell’altra. Dopo poche settimane ho iniziato ad avere la stessa sensazione di calore guidando la mia auto e, in particolare premendo il pedale dell’acceleratore. Anche in quel caso, quando scendevo dall’auto tutto ritornava normale.

Avevo provato a toccarmi, ma nessuna sensazione di calore era percepibile al contatto con la mano.

Ne parlai con la mia dottoressa di base che però non mi prese nemmeno in considerazione.

Nel febbraio successivo, per recuperare le lezioni di yoga perdute, iniziai a frequentare il corso 2 volte a settimana e in 2 mesi la situazione peggiorò tanto che decisi di smettere. La sensazione di calore non regrediva, anzi, andava via via aumentando tanto che al ritorno da scuola, nel mese di marzo, appena rientravo in casa, dovevo togliere i calzoni o le calze. Così, senza trarne alcun beneficio, decisi di tentare con una serie di massaggi shiatsu, con farmaci omeopatici e a fine giugno iniziai una serie di sedute di agopuntura da un neurologo anestesista, specialista in terapia del dolore (prof. Enrico Facco – Università di Padova).

Alla prima visita neurologica non vennero riscontrati deficit neurologici di alcun tipo. Feci anche radiografia e risonanza magnetica alla colonna lombare ed elettromiografia. Non venne riscontrato nulla di patologico né alcun danno neurologico, ma l’elettromiografia mi procurò un aumento delle  parestesie che non regredirono più, nemmeno con l’uso di farmaci antiepilettici. Ho fatto decine di sedute di agopuntura senza trarre beneficio alcuno, al contrario invece, pian piano con il passare dei mesi, la sensazione di calore andava aumentando.

Il 7 febbraio 2004 mi svegliai senza riuscire più a camminare. Il dolore che provavo alla gamba era simile a un’ustione. Dovetti prendere alcuni giorni di malattia a scuola, poi diventati mesi e poi anni e così non sono più tornata a lavorare, se non negli ultimi giorni dell’anno scolastico, con notevoli disagi dovuti ai dolori urenti alla gamba.

Gli specialisti ed i farmaci tradizionali per il dolore neuropatico

Iniziò così una “processione” presso medici specialisti in tutti i campi della medicina: ortopedici, anestesisti, neurologi, terapisti del dolore, chiropratici, fisiatri, ma qualsiasi terapia intraprendessi la mia situazione peggiorava tanto da portarmi a interromperla. Il prof. Facco però non mi abbandonò e continuai a mantenere rapporti con lui, relazionandogli tutte le visite e sottoponendomi periodicamente nel suo ambulatorio a cicli di agopuntura diversi, a blocchi anestetici e a blocchi sacrali, cioè iniezioni di anestetico attraverso un piccolo foro dell’osso sacro: in questo modo il liquido entrava direttamente nello spazio midollare e con questo ultimo tipo di trattamento, a volte, trovavo un po’ di sollievo, anche se al massimo per una giornata.

Dopo qualche tempo, a seguito di una risonanza magnetica cervicale, mi venne diagnosticata una “brutta” ernia cervicale con osteofita [n.d.r. escrescenza di tessuto osseo localizzata sulla superficie dell’osso] in posizione mediana.

Mi rivolsi al primario del reparto di neurochirurgia dell’ospedale di Padova (Prof. Scienza) che mi illustrò la mia condizione: avevo il canale cervicale stretto congenitamente e osteofita ed ernia avevano intaccato il midollo spinale che appariva traslucido e quindi sofferente. La sindrome del canale midollare stretto congenitamente si chiama sindrome di Verbiest: si tratta di una malattia rara, descritta per la prima volta nel 1954 (anno in cui sono nata) e che con l’età porta spesso a complicazioni di vario tipo (come nel mio caso) per artrosi, ernie e altre patologie legate all’invecchiamento. Decisi così di sottopormi a micro-discectomia cervicale. Non mi vennero date certezze di guarigione e l’intervento aveva il semplice obiettivo di non far peggiorare il danno neurologico che consisteva nel danneggiamento delle fibre lunghe e in particolare delle fibre del tatto (verosimilmente le fibre C e A-delta) dell’arto inferiore destro a partire dal centro del gluteo. In questo modo le fibre sensitive, una volta stimolate dal contatto con qualsiasi oggetto (stoffa o altro) davano risposte abnormi per poi entrare in un circolo vizioso, provocandomi un dolore duraturo nel tempo come fosse un’ustione.

I neurologi lo chiamano “dolore non dolore”, infatti non mi sono mai sentita di dire che avevo male, ma che mi sentivo ustionare gluteo e arto inferiore destro. Inutile dire la quantità di farmaci con i quali i medici tentarono di trattare questo “dolore”. In neurochirurgia mi è stato spiegato che a livello cerebrale il dolore neuropatico ha siti diversi da quelli del dolore e quindi gli antidolorifici non servono a nulla.

Nel frattempo mi erano stati prescritti:

  • Keffra
  • Nimesulide
  • Feldene Fast
  • Betametasone
  • Dynamisan
  • Benexol B12
  • Neurontin
  • Brufen
  • Contramal
  • Co- Efferalgan
  • Deltacortene
  • Antra (Omeprazolo)
  • Efferalgan
  • Laroxil
  • Tricortin 100
  • Tradonal SR 50
  • Sirdalup 2 mg
  • Alanerv
  • Pregabanil
  • Noritren 10 mg
  • Valium 5 mg
  • Flexart Plus
  • Nèdema
  • Alanerv
  • e anche la morfina.

Tutti farmaci che, oltre a non darmi alcun beneficio, mi hanno creato effetti collaterali devastanti come svenimenti, mancanza di equilibrio, sonno per giorni, gastrite, stipsi “feroce”, incapacità di mantenere la posizione eretta, incapacità di guidare, insomma tutti gli effetti collaterali che si leggono nei “bugiardini” dei farmaci.

Decisi, così, di sospendere l’uso dei farmaci. 

L’ultimo tentativo è stato fatto con gli antiepilettici (Gabapentin) che a un certo punto sono passati nella fascia dei farmaci non mutuabili e quindi, dato che io ero convinta che non mi portassero beneficio alcuno, d’accordo con il mio neurologo, ho via via smesso di assumerli.

Da quel momento nulla è cambiato: mi sono intossicata per 2 anni senza beneficio alcuno.

L’anno successivo all’intervento ho avuto un peggioramento con leggere parestesie alle mani [n.d.r. alterazione della sensibilità degli arti o di altre parti del corpo]. Un anno dopo la prima operazione, a un nuovo controllo con risonanza magnetica cervicale è stato riscontrato un versamento midollare con danno parenchimatico: un osteofita, cioè una punta ossea formatasi a causa dell’età, aveva lacerato il parenchima midollare per circa 2 cm fino ad arrivare a ledere alcune fibre nervose mediane, quelle lunghe che arrivano agli arti inferiori – nel mio caso particolare solo quelle dell’arto inferiore destro – e ciò avrebbe potuto portarmi alla paralisi dal collo in giù. Venni quindi operata d’urgenza con apertura parziale di 4 vertebre cervicali.

Con l’andare del tempo è stata scongiurata la paralisi, ma non ho avuto gli effetti benefici che speravo. Era solo un intervento per bloccare il danno in corso o un eventuale peggioramento.

Per qualche mese le parestesie alle mani migliorarono per poi peggiorare e aggravarsi con il passare del tempo.

L’anno successivo le parestesie alle mani peggiorarono ulteriormente in modo scalare (molto nei mignoli e via via meno fino al pollice) e questo mi permise di continuare a usare il computer anche se solo con i due pollici e gli indici delle mani. Questi sintomi sono caratteristici della chiusura della sesta vertebra cervicale, cosa che si è rivelata esatta dopo ulteriore risonanza magnetica cervicale.

Venni quindi sottoposta al terzo intervento con apertura completa della sesta vertebra cervicale e impianto di neurostimolatore 8-polare dalla base del cranio fino alle vertebre lombari, raccordo e poi impianto di scatola magnetica nella parte sinistra del ventre. Questo neurostimolatore è un apparecchio che, tramite pila, invia scosse elettriche dal centro alla periferia, cioè in senso inverso a quello delle sensazioni del dolore che invece partono dalla periferia e quando arrivano al cervello danno la sensazione del dolore. In questo modo le sensazioni inviate dai nervi periferici, non arrivando a livello centrale, non diventano coscienti. Con questo apparecchio ho iniziato ad avere piccoli miglioramenti, cioè un calo del dolore urente fino a diventare sopportabile.

Purtroppo dopo circa 10-15 giorni improvvisamente il dolore è ritornato intrattabile e al successivo controllo è stato riscontrato che 2 poli erano diventati inutilizzabili e altri 4 rotti. Mi rimanevano quindi solo 2 poli funzionanti e non sufficienti per contrastare il dolore neuropatico di cui ero vittima perché il distretto cervicale è troppo distante dall’arto inferiore destro. Sono stata sottoposta a vari tentativi di regolazione dell’apparecchio, senza beneficio alcuno, tanto che dopo circa 2 anni di tentativi ho deciso di spegnerlo definitivamente.

La cannabis nella terapia del dolore

Durante i vari accertamenti medici, la somministrazione dei vari farmaci ed i vari interventi chirurgici, cercavo in internet notizie riguardanti le mie operazioni ed il dolore neuropatico e, così, ho iniziato a leggere dell’utilizzo della cannabis in caso di neuropatie. In particolare mi sono iscritta all’associazione Act (Associazione cannabis terapeutica) per ricevere periodicamente gli aggiornamenti e i progressi rispetto alle sperimentazioni sul dolore con questa pianta.

Sono venuta in contatto con il dottor Francesco Crestani (presidente di Act e anestesia c/o l’ospedale di Trecenta) e con Stefano Balbo residente a Merano e con alle spalle una lunga lotta vincente per ottenere i farmaci cannabinoidi.

Nel 2004 iniziai quindi l’iter burocratico per richiedere il farmaco Bedrocan alla mia Asl di Padova.

Nessuna porta mi venne aperta alla Asl, dove nemmeno vollero ricevere i documenti correttamente compilati sia dal mio neurologo che dalla mia dottoressa di base. Neanche al mio neurologo, che si è speso di persona per aiutarmi, è stato possibile ottenere alcunché. Cercavo allora di provare il farmaco anche illegalmente ma, non avendo mai provato nulla di simile, la cosa non è stata semplice: dopo molti tentativi alla fine mi è stata data la possibilità di provare con una piccola quantità.

Effettivamente la qualità del sonno migliorò di molto e la mattina mi svegliavo riposata e con nuove energie che mi sostenevano almeno durante la prima parte della giornata. Nel frattempo, considerando quello “alla cura” un mio diritto, visto che la cannabis per il dolore è stata l’unica medicina provata a non darmi effetti collaterali e anzi qualche beneficio, non ho mai perso la speranza di ottenere il farmaco per via legale.

Nella primavera 2010 ho rifatto tutta la documentazione richiesta e sono tornata alla farmacia ospedaliera decisa a farmi ascoltare. Sono stata inviata al Servizio Farmaceutico Territoriale dell’Asl dove ho conosciuto il funzionario addetto che nulla sapeva delle procedure da attuare, ma che si è dimostrato molto disponibile. Ha dichiarato di informarsi e di darmi una risposta nel più breve tempo possibile. Alla fine dell’estate sono stata invitata a rifare nuovamente tutte le richieste perché ormai erano troppo datate ed è partito il mio primo ordine per ottenere 5 confezioni di Bedrocan, per un totale di 25 grammi, insieme a quello di un altro paziente che nel frattempo si era presentato negli uffici con la stessa richiesta. In questo modo abbiamo potuto dividere in 2 le spese di importazione, di trasporto e di handling, costi che ammontavano a circa 190 euro.

Laura riceve il Bedrocan dopo 6 anni di burocrazia

Il 31 gennaio 2010 mi arrivò il farmaco per la prima volta. Dopo 6 anni di “lotta” e dopo 4 mesi dalla presentazione della richiesta. Pagai l’intero importo e la metà delle spese di spedizione, come preventivato.

Nella primavera del 2012, rifeci la richiesta del farmaco e lo ricevetti dopo 3 mesi. Anche questa seconda volta ho potuto dividere le spese di importazione con un secondo paziente grazie all’attenzione del funzionario del Servizio Farmaceutico Territoriale che inviò le 2 richieste insieme.

Nel luglio 2012, presso l’ospedale di Rovigo, sono stata sottoposta a impianto sottocutaneo di neurostimolatore provvisorio con intervento in anestesia locale dal Dottor Pinato. L’intervento ha dato esito positivo: le mani, che ormai si chiudevano a pugno con il passare delle ore della giornata, rimanevano aperte e mi permettevano di fare qualche lavoro anche se spesso gli oggetti sfuggivano alla presa cadendo al suolo. Inoltre riuscii ad ottenere un po’ di autonomia nel camminare.

Il 27 agosto 2012 venni sottoposta a impianto definitivo di neurostimolatore sottocutaneo con intervento sempre in anestesia locale. Questo secondo neurostimolatore è costituito da una scatola che contiene una pila inserita nel derma posta sotto l’ombelico collegata con una serie di cateteri sottocutanei che arrivano alle radici dei nervi a livello cervicale e qui sono ancorati.

Porto sempre con me un telecomando che mi permette di sapere in ogni momento il livello di carica della batteria e mi dà la possibilità di spegnerlo all’occorrenza. Circa ogni 10 giorni devo sottopormi a ricarica dello stimolatore trascorrendo alcune ore stesa a letto. Questo strumento è molto importante perché senza di esso non riuscirei nemmeno a camminare.

Attualmente ho una invalidità del 100% riconosciuta dalla commissione medica dell’Asl 16 (oggi ASL Euganea) di Padova in data 9 agosto 2012. Sono stata messa in pensione con 30 anni di servizio (quelli che avevo effettivamente maturato) per inabilità alla funzione dalla Commissione Medica Militare di 2a istanza di Milano dopo essermi sottoposta per ben due volte alla visita della Commissione Medica di Padova, che non ha voluto riconoscere la mia inabilità al lavoro, ma mi ha sempre indirizzata alla ASL per una visita psichiatrica…

Nel 2013 ho effettuato la terza importazione di Bedrocan. Ricordo che mi chiamò il solito funzionario dell’Ufficio Farmaceutico dell’Ospedale di Padova perché c’erano altri 2 pazienti interessati all’acquisto farmaco ed avrei potuto unirmi a loro per dividere le spese di trasporto. In quel momento avevo ancora la mia vecchia ordinazione e quindi stavo per declinare la proposta, il funzionario però mi disse che siccome a breve il farmaco sarebbe stato prodotto in Italia quella sarebbe stata la mia ultima possibilità di acquisto del prodotto olandese. Messa di fronte a questa eventualità, decisi di procedere all’acquisto di 8 confezioni di Bedrocan da 5 gr ciascuna.

Oggi, a parte la cannabis per il dolore, gli unici farmaci che continuo a prendere sono il Rivotril (2 gocce al giorno) e 1 capsula di Duloxetina 60 mg, captatore della serotonina.

Da oltre 10 anni trascorro i mesi più freddi nell’isola di Bali (Indonesia) dove abbiamo affittato una casa. Rientro in Italia ogni anno per controlli ambulatoriali e/o ospedalieri e per il controllo dell’impianto di stimolazione neuronale che continua a funzionare.

Il mio consumo di cannabis contro il dolore oggi è limitato al periodo che trascorro in Italia anche perché nel nostro paese la vita è per me molto più complicata a causa degli spostamenti obbligatori tra ospedali e ambulatori.

Il motivo che mi rende la vita invalidante è che non riesco più a indossare indumenti che mi coprono l’arto inferiore destro. Ho necessità di indossare vestiti leggerissimi di cotone e corti o di stare in costume da bagno e di dormire con una semplice maglietta senza usare lenzuola. Quando sono costretta a coprirmi la gamba destra, l’aumento del dolore è incontrollabile. Se infilo un semplice paio di calzoni urlo dal dolore. Per questo utilizzo la cannabis.

Io consumo cannabis per alleviare il dolore e per dormire. Di solito prima di andare a letto, mi è sufficiente dare 3 tiri a uno spinello di sola cannabis e questo mi rilassa in maniera sufficiente per riuscire a dormire.

Se invece il dolore è più severo utilizzo l’intero spinello di cannabis.

Ho anche provato ad usare un vaporizzatore, ma non mi sono trovata bene.

Attualmente, durante il giorno, uso CBD 5%, che compero in farmacia e non mi dà sonnolenza.

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