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HIVTestimonianze

Giuseppe “Pino” Zumbo e la cannabis contro l’HIV

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Giuseppe Zumbo, detto Pino, è un uomo che, come tanti, ha convissuto con l’eroina prima e la sieropositività poi. Grazie all’utilizzo della cannabis contro l’HIV, Pino riesce a gestire la propria dimensione quotidiana in maniera più accettabile, ma l’accesso al farmaco è spesso proibitivo.

Il quadro pluri-patologico

Mi chiamo Giuseppe Zumbo, detto Pino, ho 58 anni (59 a giugno 2020) e una storia pluri-patologica alla spalle.

Soffro di dolore neuropatico agli arti inferiori e superiori, di osteoporosi, di cachessia, ho un bypass all’arteria femorale e ho l’ernia iatale da 21 anni.

Sono sieropositivo dal 1984 in seguito ad una siringa infetta con la quale mi bucai durante un periodo di detenzione.

Agli inizi del 2012, durante un viaggio in Thailandia, essendo le mie difese immunitarie molto deboli, contrassi il virus JCV al cervello. Il virus rimase latente per mesi sino a manifestarsi nel maggio 2012.

Il ricovero in ospedale e le conseguenze dell’HIV

Da quel periodo, nel 2013, essendo senza fissa dimora, sono stato ricoverato per 9 mesi all’ospedale S. Martino di Genova.

Anteriormente la mia vita quotidiana era scandita da numerosi attacchi di vomito (sino a 15 attacchi al giorno) e da elevata difficoltà motoria.

A partire dal 2008, sotto prescrizione del mio medico curante, sono stato in terapia con il Bedrocan, infiorescenza di canapa prodotta dal Ministero della Salute olandese.

Da quando ho cominciato ad assumere cannabis gli attacchi di vomito si sono ridotti di due terzi.

Ricordo addirittura la sensazione che provai la prima volta che assunsi il farmaco: un calore che si propagava nello stomaco e che rilassava i muscoli, mentre prima sentivo un costante pugno nello stomaco.

La cannabis contro HIV

La canapa mi ha rimesso in piedi, perché mi rilassa i muscoli, mi aiuta ad avere appetito e nell’umore: è un farmaco regolare e legale al quale ho pienamente diritto.

Esiste un decreto legge del 2007 firmato dall’allora Ministro della Salute Livia Turco che ne permette l’importazione e la recente norma regionale approvata in Liguria dovrebbe semplificare l’accesso al farmaco.

Invece succede tutto il contrario.

Nel 2013, quando ero ricoverato in ospedale, ero sotto dosaggio. La mia dose giornaliera avrebbe dovuto essere di un 1 grammo al giorno, ma pareva che la farmacia ospedaliera non avesse fatto l’ordine in maniera congrua tanto che mi dovevo far bastare la metà della dose, in attesa che arrivasse in farmacia l’ordine successivo.

Non ho mai capito come una terapia farmacologica potesse essere considerata scomoda dal punto di vista ideologico, tanto che il primario del reparto, Dr. Claudio Viscoli (attuale Vice presidente di ANLAIDS Liguria) mi minacciò di riunire una commissione di esperti per farmela interrompere e senza prospettarmi nemmeno come credesse sostituirla.

Ovviamente il mio medico curante era contrario all’interruzione della terapia con la cannabis perché era evidente che stessi meglio: non vomitavo più, dormivo bene, la mia qualità di vita, insomma, era migliorata.

Avevo paura che rifiutando la terapia alternativa proposta dalla commissione di esperti, mi volessero dimettere e lasciare solo per strada.

Infatti dall’altro lato, pur avendo tutti i requisiti, non erano riusciti a sistemarmi in una casa popolare. Essendo handicappato, ne avrei bisogno di una al piano terra, e a quei tempi non potevo nemmeno essere ospitato in una casa alloggio della città, perché sembrava che in queste strutture non fosse ben accetta la terapia che seguivo e che mi aiutava a vivere con dignità.

La dimissione dell’ospedale e la strada

Il 18 aprile 2013 mi dimisero effettivamente proponendomi di assumere morfina.

Io come, ex tossico, i primi tempi rifiutai, ma poi dovetti accettare anche quella.

Come prevedevo, dall’ospedale, sono finito direttamente in strada e così ho dormito in stazione e a casa di amici.

Nel 2014 ho occupato una casa vuota dove ho sopravvissuto, senza gas né luce, e con un fornelletto da campeggio: vivevo come un pipistrello e sopravvivevo per abitudine aspettando di poter entrare in una casa popolare.

Per quel che riguarda la canapa per poter sopravvivere la auto producevo e integrandola con un po’ di haschich recuperato al mercato nero. Se non avessi fatto così, avrei dovuto riempirmi di psicofarmaci e sfondarmi di morfina e questo non lo volevo fare. Avrei voluto utilizzare la cannabis contro l’HIV, ma a volte sono rimasto a gestire il mio quadro clinico, abbandonato a me stesso, con  solo 2 grammi di “fumo” e mezzo g di erba.

Nel 2017 ho cominciato ad essere fisicamente logoro non ci vedevo più e non riuscivo nemmeno a camminare.

Ho fatto una vita da tossico: ho passato metà della mia esistenza a rovinarmi e l’altra metà a riscattarmi mettendomi a disposizione degli ultimi.

Vivo con 790 euro di pensione al mese con accompagnatore e la mia battaglia vuol dimostrare che la cannabis non sia una droga, ma un medicamento del quale ho terribilmente bisogno e come me, tante altre persone che non ne hanno accesso, pur avendone pieno diritto e alle quali i medici preferiscono somministrare metadone, morfina o psicofarmaci.

Cannabis contro HIV: il farmaco rimborsato dalla Regione Liguria

Le gente nella mia condizione aspetta semplicemente che lo Stato ci metta nella possibilità di accedere ad un farmaco di qualità che per noi è salvavita perché senza Bedrocan non riesco nemmeno as assumere gli antiretrovirali. Ovviamente i costi per me sono proibitivi e dovrei riceverlo gratuitamente.

Finalmente sempre nel 2017, tramite la terapia del dolore, sono entrato fra i pazienti genovesi, dovremmo essere una ventina, che hanno diritto al farmaco e a riceverlo gratis. Ho ricevuto il Bedrocan per un primo periodo poi, ultimamente, mi hanno passato alla Pedanios sempre gratuitamente. Ne ho diritto a 1,80 grammi al giorno e la ritiro, una volta al mese. La lotta è stata lunga ma almeno adesso ho il diritto che mi spetta.

 

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