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Morbo di CrohnTestimonianze

Marco Mariano e l’utilizzo di cannabis nel morbo di Crohn

cannabis nel morbo di CrohnMarco racconta dal suo Veneto una storia di sofferenza e riscatto. La cannabis nel morbo di Crohn è una preziosa alleata e Marco non ha intenzione di scendere a patti con nessuno quando si tratta di garantirsi la cura.

L’adolescenza e l’insorgere della malattia

Mi chiamo Marco Mariano ho 49 anni vivo a Mestre e sino al 2015 ho lavorato come croupier al casinò di Venezia. Sino a 16, 17 anni ho condotto una vita normalissima. I miei problemi fisici sono cominciati a 19 anni.

A quei tempi, senza troppa voglia, studiavo ragioneria, avevo sempre sonno e cominciavo ad avere dei dolori addominali.

Il medico mi consigliò di fare una vita più regolare, dicendomi che poteva trattarsi di una malattia psicosomatica: la famosa colite spastica. La mia vita proseguiva nella normalità sino a quando non intervennero sintomi più gravi, nel giro di 2, 3 mesi il malessere si accentuava, continuavo a perdere peso e trovavo sempre sangue nelle feci.

Mi sottoposi ad accertamenti più mirati come gli esami del sangue e la colonscopia.

Da quel momento cominciò la mia tragedia perché nell’eseguire gli esami vennero irritati il retto, il colon e la zona anale. Dagli esami risultò una grossa infiammazione intestinale e mi venne prescritta un’ulteriore colonscopia. E’ con la seconda colonscopia che mi diagnosticarono il morbo di Crohn, malattia infiammatoria cronica, che può affliggere qualsiasi tratto intestinale.

Io l’avevo localizzata nella zona anale.

Il ruolo dei farmaci tradizionali nel morbo di Crohn

Cominciarono ad entrare in gioco in farmaci. Era il 1990. Deltacortene 25 mg forte, due compresse al giorno e poi Salazopirina, acido acetilsalicinico. Con questa terapia i medici mi assicurarono che i sintomi sarebbero rientrati.

I farmaci effettivamente ridimensionavano la fase acuta, ma al contempo emergevano le conseguenze della malattia e quindi fistole anali da dove spurgavo pus e ascessi perianali.

Il morbo di Crohn è fistolizzante e stenosante, in poche parole, mi restringeva l’alveo dell’intestino. Le feci diventavano liquide ed ero schiavo del gabinetto perché avevo sempre lo stimolo di andare in bagno.

Un’altra conseguenza della malattia era la caduta verticale dell’appetito: il primo anno di malattia ho perso 10 kg e nei successivi due anni ne ho persi altri 10. Da 90 kg ero arrivato a 70 kg.

Ai quei tempi dovevo ancora terminare la V superiore, ma con questa malattia era impossibile.

Ero nel mezzo di un calvario vero e proprio. Mi recai a Padova per un altro consulto e mi confermarono diagnosi e terapia. In quel momento, mentre si trattava di intervenire chirurgicamente per rimuovere le fistole e gli ascessi perianali, il cortisone cominciava a perdere di efficacia (che secondo me non ha mai avuto) e quindi i medici mi proposero di aggiungere l’Azatioprina, farmaco immunosoppressore che avrebbe dovuto abbassare le mie difese per riequilibrare l’iperattività del sistema immununitario.

Abbassando le difese immunitarie si pensava che la malattia rallentasse il proprio percorso. Al contrario, invece, riemersero le fistole e gli ascessi dai quali ero stato appena operato. Quindi, nuovamente antibiotici in aggiunta alla terapia usuale. Eravamo alla fine del 1993 e in quei giorni ero arrivato ad assumere sino a 22 pillole differenti.

Di mia iniziativa decisi di sospendere qualsiasi farmaco perché ritenevo che non avessero effetto e non trovavo alcun giovamento.

L’evoluzione della malattia e l’errore dei chirurghi

Come molti giovani ricordo che non avevo problemi a recuperare per strada dell’hashish e quindi prima di dormire mi fumavo uno spinello che mi garantiva una serata quieta, un buon sonno e soprattutto l’appetito al risveglio.

La giornata, allora, cominciava in maniera diversa, migliore, per poi ricadere nella consuetudine dei dolori quotidiani.

A 19 anni, mentre ero nella fase di accertamento della malattia, avevo anche trovato la morosa, ma la sofferenza era tale che se mi avessero ammazzato in quei primi anni sarebbe stata una cortesia.

Nel 1996 la malattia era nettamente peggiorata, continuavo a dimagrire, a perdere sangue e avevo forti dolori addominali. Così per verificare lo stato del mio intestino e l’excursus della malattia mi decisi a tornare in ospedale per un’ennesima colonscopia. Durante l’esame, senza accorgersene, i medici mi perforarono l’intestino.

Al rientro a casa, appena l’anestesia si dissolse, cominciai a sentire dei dolori particolari, per me nuovi, al fianco sinistro. Provavo a mangiare, ma il dolore era troppo forte, anomalo e inconsueto.

In quel momento credevo di essere arrivato davvero al capolinea.

L’impianto della stomia, il sacchetto esterno per le feci

Chiamai subito il medico che mi aveva operato e questi mi fece ricoverare urgentemente. Il giorno successivo restai dodici ore sotto i ferri e mi impiantarono il sacchetto esterno per evitare il transito delle feci nella zona rettale, continuamente infiammata. Da quel momento in poi, tutto sommato tutto cambiò perché il sacchetto mi dava la possibilità di ritornare in possesso della mia vita.

Non dovevo più pianificare dettagliatamente ogni movimento all’esterno di casa.

Quando tornai in ospedale per le visite di controllo il medico che aveva eseguito l’operazione mi consigliò di mantenere il sacchetto a vita. La malattia nel frattempo restava aggressiva e nel 1997 necessitai di un altro intervento chirurgico per asportare il moncone anale, la valvola ileocecale e l’ultimo tratto di colon rimasto ormai compromesso. Mi avevano prospettato che in questa maniera la malattia sarebbe stata ridimensionata.

Così ripresi con la solita terapia per mantenere sotto controllo l’eventuale “riaccensione” del morbo.

La mia vita finalmente prese un corso apparentemente normale. Feci domanda di invalidità che mi venne riconosciuta al 70% [NDR. l’assegno di invalidità parte dal 74%].

La paternità e il primo utilizzo di cannabis nel morbo di Crohn

Nel 1999, con l’inizio del mio impiego al Casinò, ritornarono i problemi fisici sotto forma di fistole peristomali, accanto cioè alla stomia (l’ano artificiale). Per non perdere il lavoro ero costretto a lavorare in condizioni precarie e cioè con i drenaggi degli ascessi a livello addominale. Alla fine del 1999 venni a sapere che probabilmente sarei diventato padre, quindi per far fronte alle mie future responsabilità, cercai di migliorare il mio benessere psicofisico e nel marzo del 2000 mi sottoposi ad un nuovo intervento con il fine di sistemare il nuovo ascesso peristomale e cercare di definire in maniera migliore la stomia, riposizionandola dall’altro lato dell’addome.

Greta, mia figlia, nacque nell’aprile del 2000 e con la sua nascita arrivarono 5 anni di serenità. Nel frattempo, tramite amici di famiglia, venni visitato in Svizzera da un medico specializzato in cure alternative.

Il medico non mi garantiva certamente la guarigione, ma una convivenza più serena possibile con la malattia.

Per la prima volta in vita mia sentivo parlare di canapa medica, sotto forma di gocce alcoliche estratte dalla pianta. La mia reazione fu di stupore e ricordo che subito domandai al medico se queste gocce fossero paragonabili all’hashish che fumavo sin da giovane. Il medico mi rispose che la canapa era migliore perché pura.

Rientrai in Italia con le gocce e con la raccomandazione di assumerle in proporzione al mio bisogno. Un farmaco gestibile dal buonsenso del paziente stesso insomma. Quando il flacone terminò ritornai in Svizzera e rientrai in Italia con 4 flaconi: una dose che a parere mio e del medico sarebbe dovuta bastare per 6, 7 mesi, sino alla successiva visita di controllo.

L’effetto calmante, rilassante delle gocce era immediato, intenso e si modulava attraverso il numero di gocce assunte. Un giorno un mio amico poliziotto trova i flaconi in bagno e mi consigliò vivamente di prendere in considerazione i rischi di importare questo farmaco, visto che in Italia era considerato illegale.

Cannabis nel morbo di Crohn. La lotta per l’indipendenza terapeutica e l’auto produzione

Nel 2001, allora, visto che il mercato nero non mi garantiva certamente l’approvvigionamento di merce di qualità, conoscendo allora la differenza tra hashish e canapa e sapendo di non voler dare i soldi alla criminalità organizzata, decisi di cominciare con l’auto coltivazione.

Dal 2001 al 2005 cominciai seriamente il mio percorso di auto produzione e a tentoni, sbagliando, nel 2006 riuscii ad ottenere un ceppo di canapa che soddisfacesse tutti i requisiti necessari al mio fabbisogno: l’erba mi risultava leggera, riuscivo a lavorare e ad avere appetito.

Stavo bene ed ero proprio rinato, ero perfetto e nonostante la mia malattia, non prendevo psicofarmaci, ma solo una pastiglia al giorno di Deltacortene e una di Azatioprina e un etto, un etto e mezzo di canapa al mese.

Il secondo figlio e l’evolversi della malattia

Nel 2004, il 21 aprile, nacque il mio secondo figlio, Giacomo. Nel 2005 la malattia si ripresentò in forma più accentuata: sentivo che il cibo aveva difficoltà a transitare nell’intestino. Dopo i classici accertamenti invasivi, nel 2006 mi sottoposi nuovamente a intervento chirurgico per rimuovere le numerosi stenosi presenti nell’intestino e a interventi di anastomosi e di stricturoplastiche intestinali, con il fine di evitare di tagliare troppo l’intestino, considerate le mie precedenti operazioni.

Nel 2007 mi proposero di sottopormi alla cura con l’Infliximab, una terapia biologica che avrebbe dovuto tenere sotto controllo il morbo. Seguii il consiglio, ma con scarsi risultati, tant’è vero che nel dicembre del 2008 tornai ad essere operato, per essere nuovamente rioperato nel maggio del 2009, sempre per sistemare le stenosi.

Quando uscii dalla sala operatoria, dopo l’ultimo intervento, effettuai il clisma del tenue per fotografare la situazione del mio intestino e il chirurgo notò una situazione di sospetta infiammazione, flogosi, e mi consigliò di adoperare un nuovo farmaco biologico sperimentale: l’Humira. Effettivamente questo farmaco inibiva la zona sospetta e, a distanza di 3 anni la stessa flogosi, diventata stenosi, richiese un nuovo intervento chirurgico.

Cannabis nel morbo di Crohn: l’intervento delle forze dell’ordine

Nel 2010 però, precisamente il 24 novembre del 2010, alle 14.30 le forze dell’ordine si presentarono alla porta di casa mia: un poliziotto e un finanziere. Li feci entrare, verificarono la soffiata ricevuta e il numero di piante e mi comunicarono che nonostante avessi tutte le cartelle cliniche che attestavano la mia invalidità, avrei avuto bisogno di un certificato medico che attestasse in modo specifico e inequivocabile il mio bisogno di canapa per fini terapeutici.

Mi sequestrarono alcune piante, le più grandi, e mi lasciarono le più piccole. Dal punto di vista della mia salute questo sequestro significò che, essendo rimasto senza erba, dovetti comprare un etto a 16 euro al grammo. Mille e seicento euro per il primo mese. Poi un altro etto a Padova al costo di 700 euro, ma la qualità era insoddisfacente e quindi provai un senso di angoscia e impotenza, perché senza la canapa la mia vita ritornava estremamente in salita.

Cannabis nel morbo di Crohn: l’Art 9 e l’Art 32 della Costituzione

In seguito al definitivo chiarimento che senza la prescrizione non potevo curarmi il morbo di Crohn con la cannabis e non trovando, in Italia, un medico disposto a prescrivermela, decisi di andare ad Amsterdam dove mi avevano detto che la canapa veniva prescritta senza problemi.

Tornai quindi in Italia con il mio certificato, ma questa volta la polizia affermava che non fosse valido perché olandese. Disponevo dunque di questo certificato olandese e di una perizia medico- legale che attestava il mio fabbisogno di cannabis, quindi dal punto di vista penale, si era creato un precedente alquanto scomodo in quanto si dimostrava scientificamente che la cannabis, da decenni, era usata all’estero, mentre qui da noi il livello di ricerca era a zero.

Proprio per questo motivo io, Marco Mariano, appellandomi all’art. 9 della Costituzione [Ndr. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica], ho deciso di considerarmi medico di me stesso e sottolineando la mia libertà di cura come da Art. 32 ho deciso di sperimentare gli effetti benefici di questo trattamento in 20 anni di consumo di canapa per motivi medici.

A differenza di altre persone con la mia patologia, infatti, che hanno però sempre adottato farmaci tradizionali in consumi costanti e non hanno mai usato la canapa per alleviare gli effetti secondari, io ho un semplice accenno di osteoporosi e non ho patologie ai reni o al fegato, conseguenze invece che si sviluppano normalmente in chi soffre del mio morbo. Anche dal punto di vista psicologico posso ritenermi sereno perché non ho bisogno di psicofarmaci.

L’eventuale alternativa alla canapa sarebbe il cerotto a base di oppio a rilascio lento, questo cerotto però ha il difetto di non essere regolabile al mio bisogno come invece posso fare fumando canapa.

Sono sempre stato pronto a proseguire la mia battaglia perché lo Stato italiano doveva decidere:

  • se potessi continuare a lavorare, e in quel caso o mi permetteva di coltivare o mi garantiva l’approvvigionamento continuo a canapa di qualità,
  • se riconoscere l’invalidità del 100%, garantendomi tutti i benefici di legge (accompagnatore, sussidio economico) e sempre la canapa per alleviare le mie sofferenze.

Nel primo caso sarai stato un cittadino attivo, che lavora, produce e, nel suo piccolo, contribuisce al miglioramento del proprio paese, nel secondo, sarei diventato un cittadino passivo, assistito, con i relativi oneri a carico della società.

Con la crisi economica che ha attraversato il nostro paese credevo fosse più sensato permettermi di auto produrre la mia medicina, come faccio da quasi 20 anni, piuttosto che scaricare i costi della mia malattia e della sua cura, sulla collettività.

Il passato recente ed il futuro prossimo

Fino al 2017 il mio medico non mi prescriveva la cannabis perché secondo lui era una questione deontologica, ma a me, in fin dei conti, questa sua attitudine risultava anche comoda, infatti avevo in mente di fondare un Associazione di culto dal nome: “Figli di Marjiano”. Lo scopo era quello di poter promuovere la liberalizzazione della cannabis in quanto pianta sacra fonte di vita. Purtroppo però visto che non ho trovato altre persone decise come me ha portare avanti una sacrosanta resistenza e disobbedienza civile ho lasciato perdere.

Nello stesso anno ho finalmente ottenuto la prescrizione medica dal Dottor Gennaro Muscari Tomaioli e forte di questa la mia ricerca botanica prosegue.

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